domenica 29 novembre 2009
















Io sono la (TUA) Vita.

Con questa frase dal doppio senso si da titolo al doppio programma vocazionale che vede coinvolte sia la Provincia di Napoli che la Custodia di Calabria dei Frati Minori Conventuali.
Programma Vocazionale, una frase troppo usata, che spesso rischi di cadere nella monotonia dei tanti programmi che vengono presentati.
Qui vengono presentati degli incontri per incontrare Colui che attende di Incontrar - Ti.
Mettere in discussione la propria vita per Colui che è la Tua Vita è agire come fece Francesco che lasciò tutto per poter avere la ricchezza più grande è più bella.
Partecipando a questi incontri potrai avere l'occasione di incontrare gente che ha risposto all'invito di Dio di poter realizzare il suo progetto su di lui ed ora vive tale consapevolezza nella gioia quotidiana di incontare cristo nella luce che brilla negli occhi dei fratelli e di quanti incontrano ogni giorno.
Nelle due facciate che vedi troverai i calendari d'impegni sia per la Campania che per la Calabria....

venerdì 30 ottobre 2009


Esperienza vocazionale
Mi amasti e ti amai
,Tocca a tutti domandarsi circa il senso della propria vita, dare una risposta al perché dei propri giorni osservando lo svolgersi degli eventi attorno a sé, ricercando questa risposta in se stessi oppure negli altri. Sta qui il gioco di tutto: essere uno scrutatore della realtà circostante ignaro dell’abisso dentro di sé oppure un cultore del proprio tesoro che ad un certo punto della vita ti accorgi di possedere.
È questo tesoro che rende ognuno di noi ricchi di quelle cose che spesso vengono relegate nel dimenticatoio esistenziale, memori solamente di ciò che è effimero, creando una società edonistica e materiale che punta i propri obiettivi sulla materialità assoluta trasformando anche l’uomo in “ un pacco che l’ostetrica spedisce al becchino” espressione di Nietzche che racchiude in sé il concentrato dell’assenza di un autentico umanesimo.
È la consapevolezza di possedere questo grande Tesoro che ti fa uscire dalle logiche commerciali che classificano l’uomo in utile o inutile, ed inizi a guardare la tua vita con occhi nuovi, occhi diversi; capisci che sei ricco in un modo diverso, autentico, proprio come fece Francesco d’Assisi: si accorse di valere molto di più di quel che poteva apparire perché era prezioso agli occhi di Dio.
Questa preziosità lo fece impazzire di gioia, era ricco perché il tesoro che aveva trovato era Colui che lo aveva creato e pensato sin dall’eternità, che per lui aveva creato il cielo, le stelle, il sole, la terra ed ogni cosa che lo circondava; volendo possedere tale tesoro vendette tutto acquistandolo a prezzo delle proprie sicurezze, del proprio passato, dei propri sogni. Era prezioso perché era Amato, da un Amore di roccia; era amato dall’Amore.
Mi accorsi pure io di essere amato, mi accorsi ma non mi fidavo, rincorrevo i miei sogni, i miei progetti ma tante e troppe cose non mi spiegavano il senso della mia vita, ascoltavo lezioni di vita alla scuola del mondo ma nessuno mi sapeva spiegare il segreto della piena realizzazione. Ero un dato che riempiva i tanti elenchi della nostra società, ma non mi interessava dove stavo collocato come dato, collocazione che genera amori e rancori, qualunque fosse il mio posto non ero veramente ricco. Avevo le mani piene, ma di proprietà deboli, che terminavano la loro utilità laddove la iniziavano, ero un compratore di conchiglie, cose morte che seppur appariscenti non hanno nessuna utilità se non l’illusione di ascoltare le onde di mari lontani.
Un giorno mi incuriosì l’esperienza del mercante del Vangelo che vende tutto per comprare il terreno dentro al quale è stato trovato un tesoro prezioso, non ero io ad andare incontro a questo Tesoro, era Lui che veniva verso di me, il Padre che corre incontro al Figlio; mi venne incontro ed avevo le mani sporche e vuote, ero stanco e povero, le mie vesti di lusso erano consumate, i miei gioielli si erano arruginiti e sentìì le sue mani pulirmi il viso sporco, abbracciarmi stringendomi a sé, mi sentivo amato, mi sentivo figlio. L’Amore con l’amore si paga, cantava la Vanoni, ed è vero, non ho potuto non rispondere con amore a così tanto bene; così l’asse centrale dei miei interessi iniziò a spostarsi da me a Dio, tutto iniziava a ruotare intorno a Lui.
Tale rotazione mi portò a scoprire colui che prima e meglio di me aveva risposto a tale amore con una forma così concreta da rendersi come Cristo, alter Christus, restai impressionato dall’agire di Francesco così iniziai a scrutare l’essenza di tale agire, a ricercare il motivo primario delle scelte di Francesco, il suo archè. Dio era la risposta, Dio era il fine, era la sua bellezza, la causa di tutto il suo agire. Non ero pago delle mie ricerche, capivo sempre più che quello era il mio punto di partenza, Francesco; non sapevo però ne dove andare e né come andare. Nei miei progetti non c’erano nè frati, né conventi né nulla di tutto quel che appartiene al mondo Francescano, gli scritti di Francesco erano per me la piena applicazione del Vangelo e da ciò partì per Amantea, indirizzato da un frate mio carissimo amico, nel gennaio del 2008. Partivo senza sapere né chi incontravo né cosa mi aspettasse, volevo solo scoprire come si vive secondo il modello di Francesco; vi ritornai diverse volte ad Amantea guidato dal P.Custode di Calabria e pian piano mi conformavo a quel modo di vivere, era la radice del Vangelo, stavo iniziando a scavare intorno alla pianta della mia vita con gli attrezzi datimi da Francesco e vi trovavo le mie radici che necessitavano questo modo di vivere. Niente e nessuno attirava più il mio interesse, avevo trovato il mio Tesoro e non dovevo farmelo portare via, ero ricco e non volevo ritornare povero. Il 5 gennaio 2009 varcavo l’atrio della ricca reggia, il Tesoro ormai era mio, mi attendeva il Mio Diletto, il Mio Signore: Entravo in Convento.
Ho trascorso già un anno dal mio ingresso come postulante e più son debole nel mio camminare più sperimento la infinita misericordia di Dio, mi sento amato e voluto da Dio qui, nel convento dei frati minori conventuali di Benevento. Ho una sola certezza nella mia vita: seguire la Sua volontà, qual è? Non lo so, posso semmai dire qual’è stata la sua volontà per me fino ad oggi ma ogni giorno lascio che Lui realizzi il suo progetto su di me; per questo non mi resta altro da fare che abbandonarmi a Lui come una foglia al suo vento.
Non sono da solo a volare abbandonato a Dio, altri tre compagni mi sono stati messi accanto nel mio iter formativo. Essi insieme ai miei formatori mi sono guide e custodi, un dono dell’infinito amore di Dio, mi hanno accolto compreso ed amato, le loro mani sono state il mezzo di Dio per abbracciarmi, le loro parole mi istruiscono quotidianamente alla vita fraterna perché la più grande scuola di vita fraterna è il fratello stesso, dove i momenti più belli sono le lezioni e quelli difficili sono le prove d’esame. Al mio ingresso mi fu scritto da uno di loro: “noi saremo il tuo banco di prova”,non si può dire che è difficile vivere di Cristo ed ecco che vivere in modo fraterno è gustare Cristo attimo dopo attimo. Non sono irreale, sto solamente parlando di me e dei miei fratelli, amati e chiamati dall’Amore ineffabile.
Rocco

venerdì 18 settembre 2009

"Le persone che amano Dio sono come gli ubriachi, che non stanno in sé, e perciò cantano, ballano e fanno cose simili"

vita di san Giuseppe da Copertino

Giuseppe Desa nasce il 17 Giugno 1603 in una stalla, perché il padre, Felice, custode del castello dei marchesi di Copertino, provincia di Lecce, si era dato alla macchia per aver firmato troppe cambiali in favore di alcuni amici.
Sua Madre, Franceschina Panaca, era una donna forte e rigorosa, tanto che Giuseppe, diventato frate, ricordando gli anni della sua infanzia disse che "il primo noviziato glielo aveva fatto fare lei".
L'ambiente poco sereno e inadatto per un bambino lo fece crescere un po' trasognato, distratto, tanto da meritargli il nomignolo di "boccaperta" per essere rimasto incantato all'ascolto del suono dell'organo durante le prove di canto.
A sette anni fu mandato a scuola, ma dovette presto lasciarla perché un tumore cancrenoso lo costringerà a letto per 5 anni. In questo tempo, ascoltando i racconti di mamma Franceschina maturò il desiderio di vedere Assisi e di camminare alla sequela di San Francesco.
Un giorno la mamma lo condusse presso il Santuario di Santa Maria delle Grazie, nel vicino paese di Galatone. Ricevuta l'unzione con l'olio della lampada votiva Giuseppe guarì all'istante e tornò a Copertino con le proprie gambe.
Sui 16 anni cominciò a fare il calzolaio, ma si rivelò un vero fallimento. Chiese in questo periodo di entrare tra i Frati Minori Osservanti ma ebbe poca fortuna e fu giudicato inadatto a tutto. Fu accettato come "fratello laico" tra i Cappuccini e nell'agosto 1620 fu inviato a Martina Franca per l'anno di Noviziato col nome di fra Stefano, ma qualche mese dopo fu rimandato perché "inetto a qualsiasi mansione".
Uscito dai Cappuccini si vergognò di tornare a Copertino e andò presso uno zio Conventuale che lo avvisò della avvenuta morte del padre, e dei soldati che ora cercavano lui, come erede dei debiti da pagare. Fu necessario nasconderlo e il luogo più adatto sembrò la Grottella, una chiesetta dedicata alla Madonna. Con la provvidenziale complicità di un frate sacrista che gli passava il cibo, trascorse circa sei mesi come "clandestino di Dio" in un bugigattolo addossato al Convento della Grottella. Visse così finché il sacrista stesso si presentò allo zio e diede buona relazione sul giovane, sempre applicato alle cose di Dio. Fatto sta che gli zii, entrambi francescani, mossi a compassione gli concessero l'abito da terziario, che godeva allora dell'immunità del "braccio secolare": avrebbe fatto il servo in quel convento di campagna.
A 22 anni fu ammesso tra i "fratelli laici", tra i frati cioè che emettono i voti, ma non sono ammessi al sacerdozio. Fra Giuseppe fece il suo anno di Noviziato da solo sotto la guida dello zio, padre Giambattista Panaca: superando qualche ostacolo nell'apprendimento del latino e della Regola di San Francesco a memoria. Spesso lo sorprendevano di notte a leggicchiare di nascosto o a farfugliare qualche frase in latino. Non gli mancava la buona volontà di curare lo studio, per il dovere che avvertiva di riempire i vuoti del tempo passato. Studiava di nascosto e si esercitava nello scrivere anche di notte.
Gli zii, al vederlo così pieno di buona volontà, decisero di presentarlo ai frati come possibile chierico. Tanto evidente fu l'intervento della Provvidenza che fu ammesso a continuare gli studi. Nell'anno di prova egli seppe sempre corrispondere, pur nei limiti delle sue possibilità, all'obbedienza e fu capace di condurre vita austera. "Per la sua bontà" fu ammesso alla Professione. Ad essa non venne mai meno e non si concesse mai "sconti", continuando con fedeltà il cammino che si faceva ancora più arduo.
Scherzi della Provvidenza: Fra Giuseppe, riconosciuto come una persona scarsa di doti umane intellettuali e di una scienza adeguata, si prepara al sacerdozio. Fu presentato per ricevere gli Ordini Minori e ricevette la prima tonsura il 3 gennaio 1627; si predispose poi a ricevere il Diaconato. I candidati erano sottoposti ad un piccolo esame: leggere, cantare e spiegare il Vangelo. Fra Giuseppe si era preparato al limite delle sue forze, imparando a memoria il brano più breve dell'anno liturgico: "Beato il ventre che ti ha portato" a cui Gesù replica: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica".
Nell'imprevedibilità del disegno divino il Vescovo aprì la Bibbia a caso e a Fra Giuseppe capitò proprio proprio quel Vangelo, l'unico che sapeva bene a memoria! Fu lodato dal Vescovo anche per il suo buon canto e ricevette il Diaconato il 20 Marzo 1627.
Rimaneva l'esame di ammissione al sacerdozio: i candidati erano 5 per la Provincia di Puglia. I primi quattro avevano un curriculum regolare e conseguirono un buon risultato. Mentre stava per arrivare il turno di Fra Giuseppe un messaggero trafelato portò un ambasciata urgente al Vescovo: il trasferimento alla Diocesi di Anglona-Tursi.
Fatto sta che la tensione del vescovo sugli esami si allentò e così pensò di allargare anche all'ultimo candidato il giudizio positivo dato agli altri. Immensa fu la gioia di Giuseppe che si ritenne "miracolato" e fu ordinato sacerdote il 28 Marzo 1628. L'intervento divino, segno di una predilezione tutta particolare era ben chiaro: la consapevolezza di aver ricevuto veramente tutto da Dio diventerà per Fra Giuseppe uno stimolo a perseguire la santità.
I superiori lo lasciarono al Convento della Grottella anche per farlo sfuggire ad un controllo troppo evidente della sua miseria naturale. I dieci anni di apostolato che gli fu concesso dall'obbedienza di trascorrere alla Grottella (1628-1638), furono veramente ricchi di frutti spirituali, sia per Giuseppe, sia per i numerosi pellegrini e devoti che ricorrevano a lui, "il Santo della Grottella".
Egli invitava tutti a ringraziare Maria, a chiedere la sua materna intercessione, ad abbandonarsi con fiducia tra le sue braccia. Quando dovette partire per Napoli per la denuncia all'Inquisizione, dovette staccarsi per sempre da quella Madonna. Ma dovunque si trovasse, sino alla morte a Lei rimase sempre unito col cuore e con la mente.
P. Giuseppe si distingueva per lo spirito di preghiera alla quale dedicava molte ore del giorno: il Signore gli concesse doni straordinari come estasi e levitazioni che confondevano l'umiltà del nostro santo il quale per parte sua evitava quanto più poteva di farsi vedere. Bastava un solo richiamo alle cose divine, attraverso una lettura, un salmo, un'immagine religiosa per essere a volte lanciato fuori di sé: Confidò a un confratello: "Quando nello schioppo la polvere da sparo si accende manda fuori quel boato e fragore. Così il cuore estatico acceso di amore di Dio".
Il popolo cominciò a conoscere questi fenomeni, e spesso il nostro frate si ritrovava con l'abito tagliuzzato dai devoti, gli oggetti da lui usati facevano miracoli. Il P. Provinciale pensò di mandarlo a visitare tutti i conventi della Provincia religiosa per accrescere la devozione e la preghiera dei frati.
Fu l'inizio della sua Via Crucis. Al ritorno a Copertino trovò l'ordine del Sant'Uffizio di presentarsi a Napoli al tribunale perché accusato di messianismo.
Giuseppe obbedì, pur con fatica e superò tutte le prove previste, perché i suoi costumi e la sua dottrina erano ineccepibili. Tuttavia ricevette l'ingiunzione di essere trasferito in un conventino appartato e di regolare osservanza. Così venne mandato in Assisi, dove, al contrario, la sua popolarità aumentò.
Padre Giuseppe vivrà ad Assisi quindici anni: chiuso in tre stanzette a ridosso della selva, la sua giornata era un lungo colloquio con Dio, culminante nella Celebrazione Eucaristica nella cappella del vecchio noviziato: "Col mistero del Santissimo Sacramento -diceva - Dio ci ha donato tutti i tesori della divina onnipotenza e ci ha fatto palese l'eccesso del suo divino amore".
Era nella Messa che Dio mostrava in lui lo splendore della sua potenza e dei suoi misteri rivelati ai piccoli. Giuseppe si sollevava in alto, cadeva con la faccia a terra, ballava, piangeva, gridava. A chi si meravigliava di queste strane manifestazioni spiegava: "Le persone che amano Dio sono come gli ubriachi, che non stanno in sé, e perciò cantano, ballano e fanno cose simili". Giuseppe non amava queste manifestazioni esteriori della grazia che lo esponevano alla curiosità della gente e quasi si scusava dicendosi affetto da una malattia ignota, mentre pregava il Signore di togliergli ogni manifestazione esterna, ma non fu esaudito.
La mattina del 23 Luglio 1653, al termine della Messa fu chiamato dal suo superiore in portineria, dove lo attendeva l'Inquisitore generale dell'Umbria che gli annunciava solennemente il suo trasferimento: rimase impietrito finché il suo superiore non gli ricordò i meriti della Santa Obbedienza: allora P. Giuseppe si gettò in ginocchio per baciare i piedi del domenicano, ascoltò rassegnato il proclama del tribunale e quasi volò verso la carrozza, tra quattro soldati. Non aveva nulla con sé. Un ultimo sguardo all'amata Assisi e la carrozza si mosse per una destinazione ignota.
Pietrarubbia, un paesino nascosto tra i boschi di Carpegna, nelle Marche accoglierà P. Giuseppe nel convento dei Cappuccini: così avevano stabilito i superiori. Non potrà parlare con nessuno, scrivere a nessuno, non rivelare la presenza; le relazioni personali erano riservate ai soli Cappuccini del Convento; gli ordini sarebbero stati affissi sulla porta del refettorio e della celletta di fr. Giuseppe. Chi tentasse di contravvenire a questi ordini sarebbe stato scomunicato!
Nonostante l'accaduto P. Giuseppe era sereno e ai Cappuccini marchigiani non sembrava vero di avere tra loro quel Giuseppe da Copertino di cui tanto avevano sentito parlare. La cella di P. Giuseppe diventò ben presto un luogo di incontri spirituali in cui si trattavano argomenti di comune edificazione. Lui non accusava mai, non si lamentava, semmai si rallegrava che Iddio lo avesse sequestrato dal mondo e levato dalla curiosità che egli tanto aborriva.
La notizia che P. Giuseppe era a Pietrarubbia non tardò a circolare e molta gente si riversò nel piccolo paese tra le colline Marchigiane. Grazie e miracoli erano profusi con dovizia: l'Inquisizione, d'altra parte, non aveva dato disposizioni a riguardo della Messa, che egli continuò a celebrare in pubblico. Ma anche questo periodo ebbe termine. Il Vicario generale del Vescovo di Urbino arrivò a Pietrarubbia con l'ordine di condurlo in altro luogo.
-"Dove mi porterete?" chiese P. Giuseppe.
- "Mi è stato vietato di manifestarvelo" rispose il Vicario.
- "Ci sarà Dio nel luogo dove mi portate?"
- "Padre, sì, senza dubbio"
- "E allora andiamo tranquillamente: il Crocifisso ci aiuterà".
Ecco la fede di Giuseppe da Copertino: la grazia lo aveva plasmato fino a farlo giungere alla perfetta assimilazione con la volontà di Dio. La sua ascesi era tutta volta a purificare e trasfigurare l'intera esistenza per evitare il ripiegamento su di sé. Alla scuola di Francesco assunse il Cristo come centro attorno al quale far ruotare tutta la sua esistenza e ordinare ogni aspetto della propria personalità. Viveva un amore incondizionato alla Chiesa, sempre disponibile alla pronta obbedienza ai pastori, accettando anche l'incredulità e il sospetto di alcuni ministri di Dio.
Grande era la sua devozione e tenerezza per la Madre di Dio, da lui contemplata nell'immagine della Grottella; devozione discreta, semplice: alle feste della Madonna si preparava con fervore e seguendo la sua fantasia con canzoncine e poesie.
Copertino, la Grottella, Napoli, Assisi, Pietrarubbia, poi ancora Fossombrone e infine Osimo tra i suoi confratelli conventuali: "Signore, voi sapete che la stanza di Osimo non fu né desiderata, né procurata affatto da me: Se volete che io vi vada voi disporrete in modo che in qualunque luogo io faccia il vostro servizio". E così partì, con quello che aveva addosso, per quella che sarebbe stata la sua ultima dimora.
Vedendo in lontananza la Basilica di Loreto disse. " Oh, che vedo? Quanti angeli vanno e vengono dal cielo! Non li vedete? Guardateci, guardateci bene!" E volò anche lui fino ad un mandorlo nella campagna: era traboccante di gioia e ritornato in sé, cominciò a cantare e pregare.
Arrivarono la sera del 9 Luglio al Convento di San Francesco in Osimo; entrarono e il Santo sussurrò "Haec requies mea": aveva trovato la sua sede terrena definitiva e il Signore stesso glielo aveva fatto capire.
Rifulgono nella figura di questo santo le meraviglie che Dio opera con coloro che si consegnano completamente nelle sue mani senza opporre resistenza sicuri della Providenza del Padre Celeste. Giuseppe era affabile, il santo della gioia che esprimeva nel canto, nella danza, nelle composizioni musicali o poesie: in punto di morte chiese ai frati che cantassero con lui.
Un uomo tutto donato e libero, liberato dalla grazia di Dio dalla quale si era lasciato lavorare, libero nell'Obbbedienza: "Io che prima non conoscevo la volontà di Dio e bramavo di tornare al mio paese, adesso la conosco molto chiara!"
Visse in Osimo e vi morì il 18 settembre 1663: un quarto prima di mezzanotte il volto si illuminò e concluse la sua vita terrena con un lungo e ineffabile sorriso.

lunedì 7 settembre 2009

Tu mi Chi..Ami, io mi Fido....

esperienza di Daniele al Campo Vocazionale svolto ad Amantea dal 27 al 30 agosto 2009

Fiducia, un argomento delicato da trattare, da vivere, in un mondo che ormai sembra dirci l’esatto contrario: non fidarsi di niente e nessuno. Ma questo implica, per primo, il non fidarsi del mondo stesso!
“So a chi ho dato la mia fiducia” è un qualcosa di diverso, un’affermazione che non ammette repliche, che esprime una sicurezza forte e indistruttibile. Questa frase mi ha spinto a partecipare al campo vocazionale francescano tenutosi presso il convento dei frati minori conventuali di san Bernardino in Amantea, i penultimi quattro giorni di agosto.
Il cuore dell’uomo ha bisogno di fidarsi, di trovare un appiglio, una roccia sulla quale costruire la casa della propria anima. Nella mia vita ho sempre cercato questo appiglio nell’altro sesso, nelle vanità, negli amici “di circostanza” e in tutto ciò che il mondo proponeva per divertirmi; mi fidavo di lui. Passava il tempo però e mi rendevo conto di quanto fossero fragili le mie fondamenta, la mia felicità durava un attimo ed ero come uno spettatore davanti al male che facevo. La svolta arrivò quando toccai il fondo. Quando non avevo più fiducia in niente e nessuno in questo mondo mi riscoprii solo; non rimaneva nulla di tutte le sicurezze che credevo di aver avuto fino a quel momento. Allora guardai in cielo e lì scoprii che non ero solo, che c’era qualcosa, qualcuno, che mi guardava dall’alto e, chissà da quanto tempo, continuava a ripetere di volermi bene; da allora i miei occhi iniziarono ad aprirsi, come anche il mio cuore, e mi fidai.
Ho voluto iniziare di proposito con il raccontare questa parte della mia vita poiché si è legata profondamente all’esperienza vissuta al campo. L’accoglienza di p. Francesco e p. Pasquale, la fraterna comunione con loro e con i ragazzi venuti, come me, a vivere quelle giornate meravigliose, la pace e lo splendido panorama della città di Amantea, sono riusciti ad aprire il mio cuore e a metterlo in ascolto. Fin dal primo giorno, con i vespri e le presentazioni, mi sono sentito pienamente a mio agio. Eravamo in pochi, appena quattro persone, ma certamente il Signore ha voluto che fosse così: ognuno con carattere diverso, con storie diverse, ma tutti con l’animo proteso verso Cristo.
“So a chi ho dato la mia fiducia”: queste parole sono impresse indelebilmente in me, ora più che mai. Non a caso proprio quando credevo di non avere più nulla, ho avuto la certezza che mi sbagliavo; tutto quello che pensavo di avere prima non era niente confrontato a quello che realmente possedevo, non a caso dando fiducia al mondo ero finito per sprofondare nella tristezza più cupa; solo allora ho avuto il coraggio di aprirmi e di chiedere aiuto. Io so a chi ho dato la mia fiducia! I giorni passati ad Amantea non sono stati semplicemente un’ulteriore conferma a quell’esperienza vissuta diversi anni fa, ma hanno fatto sì che io capissi, attraverso gli spunti di riflessione proposti ogni giorno, che il Signore mi conosce meglio di qualsiasi altro e mi ama così come sono. San Paolo e san Francesco d’Assisi non hanno fatto altro che dar fiducia alla voce che li chiamava. Così facendo il Signore li ha trasformati da carbone, sporco e fragile, in diamante, puro, prezioso e indistruttibile.
Una delle cose belle del campo è stata indubbiamente la mattina passata in montagna. Porsi in ascolto sembra così semplice quando ci si allontana dal caos cittadino, per andare dove l’aria fresca, il vento e la pace del bosco, ti fanno assaporare appieno le bellezze del creato.
L’esperienza di san Bernardino, insomma, è servita a capire: innanzitutto l’importanza di avere una guida spirituale che ti aiuti a percorrere le tappe del cammino che Dio ha scelto per te, poi, nelle distrazioni quotidiane, l’enorme bisogno di preghiera che c’è e, infine, che il Signore è fedele sempre e il suo amore nei confronti di ognuno è gratuito, incondizionato.
Per finire, credo sia doveroso ringraziare i francescani che mi hanno amorevolmente accolto al convento e dato la possibilità di vivere dei giorni fantastici e i tre amici con i quali abbiamo vissuto e condiviso questa esperienza unica, grazie davvero di cuore.
Il Signore vi benedica sempre.

Daniele S.

mercoledì 12 agosto 2009



Amedeo Cencini, Qualcuno ti chiama, ed. Queriniana

Questa lettera è idealmente destinata ad Andrea, ma egli è ognuno di noi, è ogni giovane, in
particolare, destinatario - come Andrea - d'un dono e d'un impegno formidabili. Una lettera sulla
vocazione che riguarda ogni giovane anche di questa nostra cultura, che qualcuno definisce antivocazionale,
perché Dio non cessa di chiamare e la sua chiamata non è mai generica o astratta, ma
sempre personale, pensata su misura della vita del chiamato, e dunque in attesa di risposta.
Vocazione che è il sogno di Dio su ciascuno di noi, ciò che ci può dare la vera felicità, essa non è
lontano da noi ma ci è già stata donata… eppure così difficile da capire, ecco allora che l’autore
propone, attraverso il metodo diretto della lettera, alcune riflessioni e strumenti che possono essere
di aiuto in questa ricerca. Lo sconosciuto Andrea, destinatario di questa lucida e appassionata
lettera, racconta che c'è una vocazione per tutti, in ogni condizione di vita, a tutte le età. Anche se
non tutti si chiamiamo Andrea. Non è necessario capire proprio tutto quello che c’è scritto,
l’importante è lasciarsi tirar dentro come primi destinatari e provare a dare una risposta a questa
lettera.
Dio chiama. Lettera ad uno come noi
La vocazione è la scoperta del proprio volto, del progetto di vita, del nome che Dio ha dato a
ciascuno di noi, del ruolo affidato a ognuno da svolgere nella vita, ruolo pensato su misura, nome
assolutamente unico singolo irripetibile, e che non può copiato da nessuno e riguarda
indistintamente ogni essere umano. Per questo la vocazione segna il massimo livello
dell’affermazione della propria identità e la condizione della felicità d’ognuno di noi.
La vocazione è il pensiero provvidente del Creatore sulla singola creatura, è la sua ideaprogetto,
come un sogno che sta a cuore a Dio perché gli sta a cuore la creatura, ogni creatura. Dio,
quando ama, chiama; e ogni vivente, per il semplice fatto d'esistere, è 'chiamato' da Dio a essere
sua immagine in modo assolutamente originale, e a esprimere questa somiglianza attraverso il suo
modo d'essere, con una precisa scelta di valori, criteri decisionali, stile di vita, orientamento
professionale... Tutto è compreso nella chiamata di Dio.
Noi crediamo in questo Dio che si prende cura di noi, Andrea, in un Dio che quando ama,
chiama. E qual è, allora, il sogno del Dio (chi)amante su di te? Anzitutto che tu prenda sul serio
tutto ciò, che tu creda che Dio ti chiama e ti sta chiamando, senz'alcun dubbio, che tu pensi alla tua
vita e al tuo futuro in questa prospettiva, non come a un progetto solo (o apparentemente) tuo, o
pensato dentro categorie piccole e meschine (come, ad es., la categoria della prospettiva economica,
del benessere materiale, dell'appagamento affettivo, della scalata professionale, della
raccomandazione da cercare, della patacca da esibire ecc.), ma come risposta e accoglienza d'un
progetto che viene dall'alto, che nasce dall'amore dell'Eterno, dal suo sogno misterioso..., ma poi è
affidato a te, anzi è vicino a te e lo puoi trovare se impari a guardarti dentro e attorno con
attenzione.
Se Dio, quando ama, chiama, l'uomo, quando si lascia amare, risponde. Ecco il dialogo
vocazionale, tra la libertà di Dio e la tua libertà. Dio non ti costringe, Andrea, stai tranquillo, il suo
amore è 'debole', come ogni vero amore, non ti fa alcuna violenza, né t'impone alcuna prestazione di
ritorno, continua; ad amarti anche se tu gli volti le spalle, ti lascia libero, anzi, ti rende libero, libero
di rispondergli.
Ma se tu decidi di ascoltarlo e di accogliere la sua benevolenza, allora ti si spalanca davanti
un orizzonte incredibile, davvero da vertigini. Allora entri piano piano nel mondo dei sogni di Dio,
impari a sognare come lui, a desiderare i suoi stessi desideri. E allora un po' alla volta tu scopri la
tua vocazione, e scopri che essa allarga enormemente gli spazi della tua realizzazione; è davvero il
tuo nome, un nome nuovo, pensato e sognato da Dio giusto per te e la tua faccia. È la ; rivelazione
del tuo mistero. A partire da quel momento tu sai che sarai felice solo se realizzerai quel disegno e
sarai fedele a quel nome.
Ma scoprirai anche che quella felicità è pienamente umana e pienamente divina, è
sconosciuta a tanti giovani eppure ti fa esser per sempre giovane, è gioia intima e pacata, ma ti fa
compiere cose impossibili o che tali pensavi fino allora. Hai presente la storia dei dodici chiamati da
Gesù, di professione pescatori, timidi e impacciati, e per vocazione apostoli, coraggiosi e
intraprendenti al punto di disobbedire all'autorità costituita (quando si pone in contrasto con quella
chiamata) e fregarsene delle minacce dei potenti? Ma è la storia di tutti i chiamati, dai profeti a
Maria, dai martiri della Chiesa primitiva a quelli di oggi, più o meno famosi. Se mi permetti, e con
la faccia tosta che mi ritrovo, ti posso confessare che - ovviamente nel mio piccolo - è anche la
storia mia. La vocazione è sempre anche trasformazione; è sogno capace di trasformare la realtà.
Questo per dire che la vocazione non si misura sulle proprie qualità, non è l'esatta fotocopia di quel
che uno sa fare, non viene scelta a partire dalle proprie doti e talenti e dagli esami atti-tudinali che li
misurano; Dio chiama in base al suo progetto e per realizzare un disegno che è sempre,
regolarmente, al di là di quel che l'esse-,re umano sa fare o in cui è sicuro di riuscire. 'Dio chiede
sempre il massimo e anche oltre, se possibile... E dunque nessuno può tirar fuori la scusa che... non
è capace, non se la sente, o che è troppo impegnativo, non ha la competenza adeguata, o che gli fa
paura, non è secondo i suoi gusti ecc. Neanche tu, Andrea, puoi tirar fuori queste scusanti dinanzi
alla proposta che viene dall'Eterno. Anzi, se senti dentro di te che il progetto ti supera e ti
spaventa..., buon segno, vuoi dire che - quanto meno - non viene da te e dalla tua emotività paurosa,
potrebbe essere segnale che viene dall'alto.
Paradossalmente, meglio la paura di non farcela o la coscienza della propria povertà dinanzi
a un ideale che merita questo nome, che non la scelta d'un obiettivo abbordabile e la presunzione di
riuscire. Anche su un piano semplicemente umano.
In altre parole: se tu scegli come ideale di vita qualcosa che è al di sotto anche solo d'un
millimetro delle tue possibilità, o qualcosa di subito facile e accessibile ai tuoi mezzi, di
semplicemente conforme alle tue capacità ed esattamente secondo la tua misura, non costruirai te
stesso e il tuo futuro, non scoprirai la tua verità e non raggiungerai felicità alcuna, ma ti condannerai
semplicemente a ripeterti e... donarti. Senz'alcuna novità e nella noia del non senso, pericolosa e
frequente anticamera della disperazione, anche giovanile.
Ricorda, Andrea: nessuno, come Dio, ti può , chiedere il massimo e darti al tempo stesso la
forza di realizzarlo.

mercoledì 5 agosto 2009



“ Tu sei sacerdote per sempre”… sono queste le parole che fr. Anthony Tiu si porterà per sempre nel cuore ora che è sacerdote della Chiesa di Cristo, consacrato dall’Arcivescovo di Cosenza Mons. Salvatore Nunnari. In una bellissima celebrazione insieme ai frati della custodia di Calabria alla quale ha fatto da cornice la monumentale Chiesa del Convento di San Bernardino in Amantea (CS). fr.Anthony giunto dalle Filippine ed affiliato alla Provincia di Napoli ha ricevuto la tanto attesa e desiderata ordinazione sacerdotale desiderando di uniformarsi e conformarsi a Cristo Sommo ed Eterno sacerdote. Svolge da circa un anno il proprio ministero francescano ad amantea sotto la guida del custode di calabria Padre Francesco Celestino e qui si è preparato costantemente alla solenne ordinazione sacerdotale. Il ministero che sarà chiamato a svolgere lo porterà ad essere uomo tra gli uomini in quanto – come ha sotolineato l’Arcivescovo durante l’omelia- il popolo con il quale si troverà a lavorare non va giudicato ma capito, in particolare i giovani ai quali serve una testimonianza di vita autentica all’insegna del vangelo. Toccante è stato il momento centrale dell’ordinazione quando il Vescovo, esercitando la sua potestà di consacrare pastori per il popolo, trasmessa dagli apostoli, ha pronunziato la preghiera consacratoria ed ha imposto le mani sul capo del candidato. A tale momento han fatto da corona i tanti sacerdoti della custodia e del clero di amantea i quali lasciavano trasparire la felicità di aver un nuovo confratello e qualcuno si è lasciato fuggire un po’ di emozione certamente rievocando il giorno della propria ordinazione. Ciò che avrà provato fr.Anthony dentro di sé, quel giorno, non si potrà descrivere a parole in quanto il sacramento dell’ordine è un dono immenso che Dio fa all’uomo permettendogli di far scendere per le sue mani il proprio Figli sulla mensa dell’Altare. Ma il sacerdote al contempo è un uomo chiamto a guidare il popolo di Dio modellato sull’esempio del “Bel Pastore” che guida il gregge a lui affidato ai verdi pascoli e ad acque tranquille; perciò il sacerdote, pur essendo alla guida del popolo non è suo proprietario ma suo servitore ecco perché è chiamato a cingere oltre la stola del celebrante il grembiule del servitore, come fece Gesù che si cinse i fianchi e lavò i piedi ai suoi apostoli. A fr.Anthony l’augurio che il suo sia un servizio di testimonianza di vita secondo il Vangelo e l’esempio di san Francesco vissuto con gioia, la gioia di chi incontra il Risorto, dopo averlo incontrato sulla Croce e corre a dare con Amore l’annuncio di Fede e di Speranza.

sabato 1 agosto 2009

Le origini del francescanesimo in calabria


La terra di Calabria, nel XIII secolo, governata da Federico II di Svevia il quale si preoccupava di avviare un processo egemonico fra la Corona e le altre realtà feudali ed ecclesiastiche, resa dai numerosissimi monasteri Brasiliani e benedettini“la terra classica dell’ascetismo monastico” o “nuova Tebaide”, vide giungere durante la sua prima fase d’espansione per volontà dello stesso fondatore San Francesco d’Assisi la nuova religio: l’Ordine dei frati Minori. Esso, sorto in seguito all’esperienza della conversione del giovane Francesco di Pietro di Bernardone doveva essere, secondo il desiderio di Francesco solamente una Fraternitas accomunati dal desiderio di vivere insieme “la vita del Vangelo di Gesù Cristo”. Tale nuova forma di vita evangelica per la storia della Chiesa, nel 1209 era stata autorizzata provissoriamente da Innocenzo III, attirò una tale moltitudine di persone che da fraternitas diventò una religio, l’Ordine dei frati Minori. Ad Assisi tutti gli anni i frati tenevano importanti riunioni per l’organizzazione del nuovo Ordine: i Capitoli generali i quali servivano a stimolare attraverso l’esperienza collettiva la coscienza della famiglia religiosa ma presto divennero organi amministrativi e legislativi per l’intero Ordine. Al loro termine i frati si “disperdevano” per la terra italiana. È al termine del Capitolo di pentecoste del 1217 che si avviò la formazione delle Province dell’Ordine poste sotto la guida del Ministro Provinciale. Le province madri furono tredici tra cui la Calabria.
Nel 1217 la Calabria era una Provincia tutta da organizzare perciò Francesco chiamò un ottimo discepolo: Pietro Catin da S.Andrea della marca settentrionale, così egli fu il primo Ministro Provinciale di Calabria. Pietro raggiunse la Calabria a piedi secondo l’uso francescano e giunse a Castrovillari facendone la base di lancio della sua attività nella Provincia. È il 1220 quando Pietro a Castrovillari fa sorgere il protoconvento della Calabria. Dieci anni dopo la fondazione della provincia, vi fu l’avvenimento che ne rivelò tutta la vivacità spirituale: la missione in Marocco di un gruppo di frati calabresi guidati da Daniele da Belvedere, essi erano: Agnello, Samuele, Donnolo,Leone, Nicola,Ugolino. Entrati di nascosto nella città di Ceuta interdetta dai cristiani si misero a predicare, perciò furono arrestati e portati innanzi al re il quale lì giudicò pazzi, perciò furono rinchiusi nella prigione dove trascorsero otto giorni senza cibo, così si cerco di dissuaderli dalle loro argomentazioni circa la regalità di Gesù Cristo ma data la loro irremovibilità il giudice della città Arnoldo stabilì che venissero decapitati. Udita la sentenza i sette frati, come fossero invitati a banchetto facevano a gara per chi per primo dovesse ricevere la palma del martirio. Esortati da Daniele, ricevettero il martirio per decapitazione il 10 ottobre 1227. La ferocia dei carnefici non si fermò qui: infatti le loro teste ed i loro corpi furono fatti a pezzi e gettati a terra e calpestati dai saraceni e dai bambini. Quando l’ira furibonda si fu placata i loro resti furono raccolti dai cristiani e nascosti presso i fedeli in alfondengha. Dopo queste cose il figlio del re di Portogallo li chiese ed ottenne in dono di portarli in Spagna. Così fraternità francescana, ai suoi primordi ebbe tale battesimo e fu segnata da così grande testimonianza di vita evangelica nella nostra terra calabrese.







lunedì 27 luglio 2009

Campo Vocazionale "So a chi ho dato la mia fiducia"

Caro amico..........il Vangelo è capace di sorprendere la nostra vita di oggi, come è stato per S.Paolo e S. Francesco d'Assisi e per tanti uomini e donne cercati da Dio e cercatori di Lui. Questa è la sfida del Campo Vocazionale che vogliamo proporti: Attraverso delle schegge di Vangelo e di vita concreta che entrano dentro la tua storia, potrai fare l'esperienza di un tempo di sosta e di ascolto, con uno sguardo sulla tua vita che parta dall'amore di Cristo, per riconoscere l'esistenza come chiamata di Dio e rispondere con gioia e fiducia..... Nella condivisione e nella fraternità potremo insieme confrontarci col Vangelo e tra noi, ed aprirci a quella fedeltà di Dio che nulla può far venir meno e che stimola ad un rapporto vivo, fiducioso, sereno. " So a chi ho dato la mia fiducia" ci ripete S.Paolo, con l'atteggiamento di chi si affida, di chi trova il proprio "centro" non tanto in sè, ma in sè nell'orizzonte di un amore più grande, quell'Amore che tutto vince. Il campo è un invito a tener fissi gli occhi su quel Dio che "punta" su di noi, che scommette - amandoci per primo -


PROGRAMMA DEL CAMPO

Giorno 27 Agosto

- Nel pomeriggio arrivo presso il convento

- 18:30 Ci conosciamo

- 20:30 Cena

- 21:00 Veglia di Preghiera

Giorno 28 Agosto

- 8:00 Colazione

- 8:30 Celebrazione delle Lodi

- 9:15 Riflessione guidata

- 10:30 Deserto

- 12:30 Pranzo

- 16:30 Riflessione

- 17:00 Meditazione personale

- 19:00 Celebrazione Eucaristica con Vespri

- 20:00 Cena

- 21:00 Film...

Giorno 29 Agosto

- 7:00 Colazione e partenza per la montagna

- 9:15 Riflessione

- 10:30 Meditazione personale

- 12:30 Pranzo

- 16:00 Liturgia penitenziale

- 19:00 Celebrazione Eucaristica con Vespri

- 20:30 Cena

- 21:00 Rosario meditato

Giorno 30 Agosto

- 8:00 Colazione

- 8:30 Celebrazione delle Lodi

- 9:00 Condivisione e verifica dell'esperienza

- 11:00 Celebrazione Eucaristica

- 13:00 Pranzo

- Nel pomeriggio rientro...

COSA VIENE RICHIESTO:

1) Età compresa fra i 18 ed i 30 anni;

2) Bibbia.


Il Campo Vocazionale si svolgerà presso il Convento dei Frati minori Conventuali"S.Bernardino da Siena" in Amantea (CS)

Per informazioni: Tel. 0982 42439 - Mail. francescanicalabria@gmail.com - frcelestino@tiscali.it