“Andate e portate a tutti l’annuncio del
Cristo Risorto! Alleluja!”
Questo
invito è dato dal celebrante alla fine della celebrazione pasquale, quando il
cammino quaresimale è terminato dinanzi alla tomba vuota, quando lo stupore
dell’annuncio esplode all’incontro con il Risorto.
Qui inizia
il cammino, ma diverso, si cambia direzione come i discepoli di Emmaus; se la
quaresima ci ha fatto vagare nel deserto, ora si torna a casa ma con il cuore
cambiato, con occhi nuovi che sanno vedere il Risorto, uno sguardo trasfigurato
che fa vedere la bellezza in un volto sfigurato, la speranza nel buio della
sofferenza.
È nel
deserto che Dio ci porta per amarci, è il luogo dove Dio si apparta con il
cuore dell’uomo, è il luogo del silenzio dove si parla con i sussurri, si parla
il linguaggio degli amanti.
La storia
della salvezza passa per il deserto ma non è la sede stabilita, la meta è
sempre la terra promessa, la speranza deve sempre portare all’amore.
Non c’è
storia vocazionale che non sperimenti il deserto grande e spaventoso, così lo
descrive l’autore del deuteronomio al capitolo 8. Vi abitano le bestie della
solitudine, dello sconforto, della paura, dell’insicurezza; si diventa fragili,
paurosi, come Elia si perde anche la speranza (1 Re 19, 3-5) ma quando tutto
sembra inconcludente, vano, insensato, terminato, Dio offre quel minimo di
forza perché si attraversi il deserto.
La
vocazione si svela cosi progetto di d’amore ma di Dio al quale il chiamato
offre la propria disponibilità, ma che guida è Dio e quando l’uomo si appropria
del progetto di Dio i risultati sono non diversi da quelli del re Saul, vittima
dei suoi stessi capricci.
Ma Dio non
abbandona il proprio chiamato, colui sul quale ha posto il suo sguardo, si
rivela a lui come amore nell’amore, ama e si fa amare, lo conduce sulla terra
promessa.
Si fa
compagno di cammino e si rivela nel più grande atto d’amore: lo spezzare il
pane, il dono di se stesso.
Un dono che
si apre nel momento in cui il discepolo va fuori e cammina, cammina e annuncia.
Da quella
tavola di Emmaus è iniziato un movimento che tuttora continua, ogni volta che
si annuncia quell’incontro si fa parte di quel movimento quando l’amore si è
rivelato frutto della speranza.
“Pellegrini e forestieri” voleva frate
Francesco i suoi frati, così lo siamo realmente.
Compagni di
cammino di tanti. Quanti si accostano durante il cammino, la strada diventa un
bene comune per due, tratti in cui si condivide di tutto, ci si ripara insieme
dai pericoli, dalle intemperie, le stesse attese e stesse confidenze, si
diventa custodi di quel compagno; un corpo solo che cammina in due persone.
Si attua la
promessa fatta al momento di partire: “chi
avrà lasciato… riceverà cento volte tanto in questa vita”… si lasciano
amici e se incontrano di nuovi, si lasciano case e fratelli e tante sono le
case dove si viene accolti.
Ma il
cammino ha una direzione, le mete sono diverse, il bivio che porta in direzioni
diverse, le direzioni della vita, un cammino che non si impoverisce ma si
arricchisce, diventa doppio, un annuncio di Pasqua che si moltiplica. Non si
cammina più insieme ma c’è la gioia che ognuno percorre la strada della propria
vita.
Uomini con
le scarpe consumate, questi i frati che voleva Francesco, disposti ad
accogliere e farsi accogliere, lasciare e farsi lasciare. Viandanti per il
Risorto e non contemplatori di una tomba vuota lasciando che i perché
fermentino in dubbi dalle risposte negative.
Il frate,
disposto ad abbracciare e farsi abbracciare lungo il cammino, capace di sguardo
intimo con chiunque condivida il cammino, ma uno sguardo sempre gettato in
avanti, sul futuro. Uomini di speranza e non di rimpianti. Uomini di sguardo
amorevole e non di critica, uomini semplici e non complicati. Uomini e non
finti angeli, fragili ma forti, deboli ma fedeli. Uomini che andando, in questo
mondo dalla speranza quotidianamente rubata annuncino con la propria carne:
Cristo è Risorto… Abbiate speranza !!!
fr.
Rocco Predoti
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