PUNTA ALL'ALTRO - Caporosa 2012
Accoglienza. Disponibilità. Condivisione. Responsabilità.
Troppo spesso ho sentito pronunciare queste belle parole: lezioni
universitarie, corsi di formazione aziendali,
dibattiti politici, slogan pubblicitari. Ma tutte le volte la stessa sensazione
di vuoto, aridità, distanza. Il mio volto irrigidito dalla delusione di veder
reprimere, come sempre, il tenero desiderio
di rispondere con un sorriso sincero ad un autentico invito. “Solo belle parole” , ripetevo tra me e
me, “l’ennesimo gioco a batti muro dove
la palla ritorna nelle mani di chi batte, il solito guardarsi riflesso e
compiaciuto al proprio specchio di casa”.
Accoglienza. Disponibilità. Condivisione. Responsabilità. Sono
stati i temi del campo estivo
organizzato a Caporosa dall’Acr della Parrocchia di S. Biagio di
Amantea. Io ci sono stato e a due giorni dal ritorno a casa ho il cuore pieno
di gioia, il volto che sorride disteso da emozioni che sento saranno durature.
No, non sono state solo belle parole. Questa volta no!
Niente aule universitarie o d’albergo a 5 stelle ipertecnologiche, climatizzate
e profumate. Niente schermi ultrasottili
al led dove visionare e scimmiottare briefing
a tutto spiano su modelli, paradigmi, verità, valori, solidi e duraturi quanto
una gomma da masticare.
A Caporosa ho
vissuto un’ esperienza vera, concreta. Vita reale.
Tre, quattro, cinque persone per camera, uno a fianco
all’altro. Letti a castello per i più. Un semplice materasso a terra alla più
generosa. Tutti uniti, fraternamente, attorno ad una piccola chiesetta di
montagna.
Riconoscente ho stretto le mie mani agli altri. Mani che si sono tra loro cercate e intrecciate
tenendo stretto questo segreto nella preghiera al Padre e nel gioco con i bambini dove tutti
siamo tornati fanciulli accogliendo l’invito di Gesù a farci piccoli.
Già, ho giocato e tanto: niente batti muro stavolta, ma solo
giochi dove la palla si passa e si
ripassa e quando va a terra si raccoglie e si ricomincia. A volte si va a terra
assieme alla palla e ci si fa male. Ma qualcuno è pronto a farti rialzare, a
curarti le ferite e ad incoraggiarti a ritornare in campo perché il posto è
rimasto vacante, il tuo posto in mezzo agli altri.
E poi si sa..quando la palla si passa e si ripassa si
finisce, prima o poi, per rompere gli specchi appesi alle pareti e mandarli in frantumi. Finalmente!
Così per vedersi è necessario ritornare al punto di partenza. Rispecchiarsi
nell’acqua limpida. Nella luce degli occhi altrui.
Perché solo incontrando
veramente gli altri si scopre di se stessi una verità fondamentale.
Sono lo sguardo e la presenza degli altri a renderci
visibili e vivi.
Mi sono commosso nel vedere alcuni genitori rimanere con i loro
figli. Ritrovavo nei mie ricordi mio padre che mi buttava nella mischia del cortile della chiesa, per rompere la mia
timidezza. All’inizio andava bene anche la panchina, andare in porta quando
nessuno voleva starci, non toccare palla per quasi tutta la partita. Appena qualche
anno dopo mio padre era sempre lì ad applaudire vedendomi segnare un goal dopo
l’altro, non lasciare cadere a terra una palla e andare a muro, placcare e lanciare
i tre quarti in meta. Ero cresciuto. Grazie
alla sua presenza, alla sua fiducia. Senza che nessuno dei due abbandonasse il
campo, senza fare a meno degli altri.
E sebbene oggi non possa più chiederglielo, so con certezza che
lui lo sapesse sin dall’inizio che sarebbe andata così. Bisogna buttarsi fidandosi dell’invito del
Padre come Gesù insegnò a Pietro quella notte sulla barca in mezzo al lago.
Mi sono commosso
ancora nel vedere tra gli educatori la presenza di un’ intera famiglia: nonna
Carmela, Nicola, Maria Elena, Maria Teresa ed Emilia: un miracolo di
generosità.
Una lezione
indimenticabile per me che sto iniziando una vita da consacrare in modo pieno e
totale a Dio.
La Famiglia che testimonia così la Fede esprime
una vocazione più ampia e profonda.
Sono esempi concreti di testimonianza viva, quotidiana, e
visto i mille impegni, spesso più efficaci e credibili di chi porta un abito
rimanendoci impigliato dentro a volte.
Dall’altare Padre
Francesco ci ha invitato ad imparare a custodire. Io ci proverò.
Tenere gli occhi
chiusi perché le cose belle possano mantenersi, durare o perché debbano ancora
essere riviste desiderando nuove occasioni.
Custodirò
emozioni, volti, nomi..
..Nicola, Maria Elena,
Maria Francesca, Anna, Elisabetta, Annarita, Gabriella.. Sasha che corre come
una lepre e non lo prendi più..la simpatia un po’ spocchiosa ma sincera e
allegra di Giuseppe.. Il garbo e la compostezza di Sara.. L’entusiasmo, la
carica e l’energia contagiosa e dirompente di Emilia.. La pazienza e la tenacia
di MariaTeresa..e poi Ludovica, Daria..e tutti..tutti gli Altri..
Puntare all’altro significa puntare all’unicità delle persone.
Prima di arrivare a Caporosa qualcuno ha pensato a mantenere
e rendere fruibili i luoghi, organizzare i tempi, i modi e le persone. Una
volta sul posto ognuno, con la sua specificità, ha dato il suo contributo, come
ha potuto, come ha voluto.
C’è stato il tempo per fare ancora altro.
Ho ascoltato il
silenzio. Respirato il vento. Sentito il cielo più vicino.
E in lontananza, giorno e notte, le campane appese al collo delle caprette e
delle mucche, a scandire il ritmo dei passi, a volte lenti, a volte rapidi.
Comunque suoni, melodie appena accennate. Armonie.
La Natura ha i
suoi cicli dove tutto, persino il rifiuto se naturale, è nutrimento.
E l’Uomo? Quando l’uomo sceglie l’artificio diventa disumano
perché rifiuta la sua natura: l’umanità.
È Disumano
rompere il ciclo naturale, il cerchio delle mani unite.
Interrompere, trattenersi a sé, per ruotare su se stessi
fino a perdere l’equilibro, a perdersi inevitabilmente.
Umanità è
ripristinare il cerchio, riprendersi e tenersi per mano.
Circolarità del dono. Dare e ricevere gratuitamente, perché
anche per noi tutto sia nutrimento.
Già, puntare in Alto. Puntare all’Altro: perché ogni
profonda conoscenza di sé nasce da una grata riconoscenza.
Andrea Latelli
Postulante Frati
Minori Conventuali Custodia di Calabria
Nessun commento:
Posta un commento