mercoledì 1 agosto 2012

Il mistero che manca di una sponda non diviene arcobaleno .


PUNTA ALL'ALTRO - Caporosa 2012
Accoglienza. Disponibilità. Condivisione. Responsabilità. Troppo spesso ho sentito pronunciare queste belle parole: lezioni universitarie,  corsi di formazione aziendali, dibattiti politici, slogan pubblicitari. Ma tutte le volte la stessa sensazione di vuoto, aridità, distanza. Il mio volto irrigidito dalla delusione di veder reprimere, come sempre,  il tenero desiderio di rispondere con un sorriso sincero ad un autentico invito. “Solo belle parole” , ripetevo tra me e me, “l’ennesimo gioco a batti muro dove la palla ritorna nelle mani di chi batte, il solito guardarsi riflesso e compiaciuto al proprio specchio di casa”.
Accoglienza. Disponibilità. Condivisione. Responsabilità. Sono stati i temi del campo estivo  organizzato a Caporosa dall’Acr della Parrocchia di S. Biagio di Amantea. Io ci sono stato e a due giorni dal ritorno a casa ho il cuore pieno di gioia, il volto che sorride disteso da emozioni che sento saranno durature.
No, non sono state solo belle parole. Questa volta no! Niente aule universitarie o d’albergo a 5 stelle ipertecnologiche, climatizzate e profumate. Niente  schermi ultrasottili al led  dove visionare e scimmiottare briefing a tutto spiano su modelli, paradigmi, verità, valori, solidi e duraturi quanto una gomma da masticare.
A Caporosa ho vissuto un’ esperienza vera, concreta. Vita reale.
Tre, quattro, cinque persone per camera, uno a fianco all’altro. Letti a castello per i più. Un semplice materasso a terra alla più generosa. Tutti uniti, fraternamente, attorno ad una piccola chiesetta di montagna.
Da tutti sono stato accolto. Tutti sono stati disponibili. Con tutti ho condiviso.
Riconoscente ho stretto le mie mani agli altri. Mani che si sono tra loro cercate e intrecciate tenendo stretto questo segreto nella preghiera al  Padre e nel gioco con i bambini dove tutti siamo tornati fanciulli accogliendo l’invito di Gesù a farci piccoli.
Già, ho giocato e tanto: niente batti muro stavolta, ma solo giochi dove  la palla si passa e si ripassa e quando va a terra si raccoglie e si ricomincia. A volte si va a terra assieme alla palla e ci si fa male. Ma qualcuno è pronto a farti rialzare, a curarti le ferite e ad incoraggiarti a ritornare in campo perché il posto è rimasto vacante, il tuo posto in mezzo agli altri.
E poi si sa..quando la palla si passa e si ripassa si finisce, prima o poi, per rompere gli specchi appesi  alle pareti e mandarli in frantumi. Finalmente!
Così per vedersi  è necessario  ritornare al punto di partenza. Rispecchiarsi nell’acqua limpida. Nella luce degli occhi altrui.
Perché solo incontrando veramente gli altri si scopre di se stessi una verità fondamentale.
Sono lo sguardo e la presenza degli altri a renderci visibili e vivi.
Mi sono commosso  nel vedere alcuni genitori rimanere con i loro figli. Ritrovavo nei mie ricordi mio padre che mi buttava nella mischia del cortile della chiesa, per rompere la mia timidezza. All’inizio andava bene anche la panchina, andare in porta quando nessuno voleva starci, non toccare palla per quasi tutta la partita. Appena qualche anno dopo mio padre era sempre lì ad applaudire vedendomi segnare un goal dopo l’altro, non lasciare cadere a terra una palla e andare a muro, placcare e lanciare i tre quarti in meta. Ero cresciuto.  Grazie alla sua presenza, alla sua fiducia. Senza che nessuno dei due abbandonasse il campo, senza fare a meno degli altri.
E sebbene oggi non possa più chiederglielo, so con certezza che lui lo sapesse sin dall’inizio che sarebbe andata così.  Bisogna buttarsi fidandosi dell’invito del Padre come Gesù insegnò a Pietro quella notte sulla barca in mezzo al lago.
Mi sono commosso ancora nel vedere tra gli educatori la presenza di un’ intera famiglia: nonna Carmela, Nicola, Maria Elena, Maria Teresa ed Emilia: un miracolo di generosità.
Una lezione indimenticabile per me che sto iniziando una vita da consacrare in modo pieno e totale a Dio.
La  Famiglia che testimonia così la Fede esprime una vocazione più ampia e profonda. 
Sono esempi concreti di testimonianza viva, quotidiana, e visto i mille impegni, spesso più efficaci e credibili di chi porta un abito rimanendoci  impigliato dentro a volte.
Dall’altare Padre Francesco ci ha invitato ad imparare a custodire. Io ci proverò. 
Tenere gli occhi chiusi perché le cose belle possano mantenersi, durare o perché debbano ancora essere riviste desiderando nuove occasioni.
Custodirò emozioni, volti, nomi..
..Nicola, Maria Elena, Maria Francesca, Anna, Elisabetta, Annarita, Gabriella.. Sasha che corre come una lepre e non lo prendi più..la simpatia un po’ spocchiosa ma sincera e allegra di Giuseppe.. Il garbo e la compostezza di Sara.. L’entusiasmo, la carica e l’energia contagiosa e dirompente di Emilia.. La pazienza e la tenacia di MariaTeresa..e poi Ludovica, Daria..e tutti..tutti gli Altri..
Puntare all’altro significa puntare all’unicità delle persone.
Prima di arrivare a Caporosa qualcuno ha pensato a mantenere e rendere fruibili i luoghi, organizzare i tempi, i modi e le persone. Una volta sul posto ognuno, con la sua specificità, ha dato il suo contributo, come ha potuto, come ha voluto.
C’è stato il tempo per fare ancora altro.
Ho ascoltato il silenzio. Respirato il vento. Sentito il cielo più vicino.
E in lontananza, giorno e notte,  le campane appese al collo delle caprette e delle mucche, a scandire il ritmo dei passi, a volte lenti, a volte rapidi. Comunque suoni, melodie appena accennate. Armonie.
La Natura ha i suoi cicli dove tutto, persino il rifiuto se naturale, è nutrimento.
E l’Uomo? Quando l’uomo sceglie l’artificio diventa disumano perché rifiuta la sua natura: l’umanità.
È Disumano rompere il ciclo naturale, il cerchio delle mani unite.
Interrompere, trattenersi a sé, per ruotare su se stessi fino a perdere l’equilibro, a perdersi inevitabilmente.
Umanità è ripristinare il cerchio, riprendersi e tenersi per mano. 
Circolarità del dono. Dare e ricevere gratuitamente, perché anche per noi  tutto sia nutrimento.
Già, puntare in Alto. Puntare all’Altro: perché ogni profonda conoscenza di sé nasce da una grata riconoscenza. 
 Andrea Latelli
Postulante Frati Minori Conventuali Custodia di Calabria