Parole di una giovane calabrese sfamata dalla Dio-incidenza
Dovrei raccontarvi la mia esperienza al GVA; cercherò di
essere breve, ma è necessario che faccia qualche passo indietro… Una
Dio-incidenza (chi è stato al Convegno sa di cosa sto parlando, agli altri lo
spiegherò dopo), mi ha fatto conoscere il GVA poco più di due anni fa,
attraverso gli entusiasmanti racconti del mio vicino di posto durante un
viaggio in autobus. Non è stato difficile travolgermi con quelle parole; per me
che sono cresciuta con lo spirito francescano, la partecipazione ad un incontro
regionale poco tempo dopo, è stata l’occasione per ritrovare la gioia di chi
segue Cristo sulle orme di Francesco. I due anni che sono trascorsi non sono
stati molto facili, sono una ventottenne laureata, semi-disoccupata, alle prese
con le delusioni del mondo e alla ricerca dell’amore vero, quello con la A
maiuscola. Una mattina di fine settembre Qualcuno dall’alto ha deciso che io
quest’anno avrei dovuto partecipare al convegno. Non ci avevo pensato
minimamente, anzi, non lo avevo programmato, visto che ahimè lo ammetto, cerco
sempre di avere le cose sotto controllo, ma dopo aver detto a fra Rocco che mi
sentivo giù per una serie di cose successe, mi sono trovata davanti ad un
“Vieni, punto e basta”. Allora in quel momento ho smesso di programmare e mi
sono sentita in dovere di rispondere sì a quella chiamata, perché era Dio che
in mi stava dicendo che avrei dovuto fare quell’esperienza. Allora ho iniziato
a fare il conto alla rovescia e neanche la preoccupazione per la terra che
tremava ha fermato il mio andare incontro ai nuovi fratelli e sorelle che il
Signore mi ha donato. Infatti non conoscevo nessuno prima di partire, ma ciò
che ci accomunava non ha reso difficile l’instaurarsi di legami che sono sicura
dureranno nel tempo. Dal tema del Convegno si evince subito l’argomento
trattato; durante una testimonianza, ho capito che non era un caso che io mi
trovassi lì, visto che ogni parola, ogni racconto sembravano fossero rivolti a
me. Coincidenza? No, Dio-incidenza! Al convegno è uscito fuori questo
neologismo, per indicare che ciò che accade nella nostra vita, se visto con gli
occhi della fede, non è un caso, ma opera di Dio. È difficile spiegare ciò che
accade dentro; chi parla ai giovani sa benissimo come smuovere ciò che di più
intimo c’è nei cuori. Oggi ci sentiamo un po’ persi, abbiamo bisogno di
certezze che il mondo non può darci e per noi credenti le cose a volte si complicano.
Veniamo spesso giudicati da chi non vive un’esperienza di fede perché non ci
basta l’effimero, ma siamo affamati di qualcosa in più. E chi può darci quel di
più se non Colui che ci ama sopra ogni cosa, che ci lascia liberi e che ci
accoglie così come siamo, con le nostre debolezze e le nostre mancanze? E’ così
che anche noi dovremmo amare, in qualunque tipo di rapporto, dovremmo dare il
nostro tutto e allora impareremo a gustare l’attesa dei tempi di Dio, che non
corrispondono ai tempi dell’uomo. Le lacrime di tanti cuori liberati
dall’angoscia che ho visto durante la liturgia penitenziale mi hanno fatto
capire che non sono sola e che vale la pena continuare a lottare per difendere
la bellezza della gioia di amare incondizionatamente. Un altro momento molto
significativo è stata la condivisione della Parola. Ci è stato proposto il
brano della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Gesù in quell’occasione sfama
la folla, comportandosi come un padrone di casa che si prende cura dei suoi
ospiti e preoccupandosi che ciò che avanza non vada perduto. In realtà la folla
presente è sfamata non dal pane, pur essendo il cibo materiale necessario per
il sostentamento, ma dal cibo spirituale che Egli offre alle loro vite; il pane
avanzato è segno della sovrabbondanza della grazia di Dio in chi si affida a
Lui e niente di ciò che si compie nel suo nome andrà perso, anche se si tarda a
vederne i frutti. Una cosa che mi ha particolarmente colpita è la richiesta che
Filippo fa a Gesù, ovvero domanda dove poter comprare il pane e con quali
mezzi, quindi si pone il problema dal punto di vista umano. Eppure lo stava
chiedendo a colui che avrebbe potuto sfamare la folla senza dover ricorrere ad
alcun mezzo, invece Gesù si serve dei cinque pani e dei due pesci di un ragazzo
presente, che si fida di lui, rischiando di perdere quel poco che possiede. Ed
ecco allora il messaggio che mi rimane alla fine di questa esperienza:
impareremo ad amare veramente quando impareremo a perdere ciò che abbiamo per
“correre il rischio” di essere davvero felici e che il Signore può moltiplicare
quello che abbiamo da offrirgli soltanto se gli apriamo il nostro cuore e
decidiamo di fidarci di Lui